sabato 7 giugno 2025
La pace e la sua promozione, il filo conduttore del primo mese di pontificato. A tenere insieme parole, gesti, incontri. «Siamo a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi»
Città del Vaticano, giovedì 8 maggio: Leone XIV, appena eletto, si affaccia alla Loggia centrale della Basilica di San Pietro e saluta i fedeli con «il primo saluto del Cristo risorto»: «La pace sia con tutti voi!»

Città del Vaticano, giovedì 8 maggio: Leone XIV, appena eletto, si affaccia alla Loggia centrale della Basilica di San Pietro e saluta i fedeli con «il primo saluto del Cristo risorto»: «La pace sia con tutti voi!» - foto Siciliani

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«La pace sia con tutti voi!». La pace «del Cristo Risorto, una pace disarmata e una pace disarmante, umile e perseverante», che «proviene da Dio», quel Dio «che ci ama tutti incondizionatamente». È «il primo saluto del Cristo Risorto», quello che Leone XIV, appena eletto, ha offerto e condiviso nella sua prima benedizione Urbi et Orbi dalla Loggia centrale della Basilica Vaticana.

È trascorso un mese da quel giovedì 8 maggio, che ha visto il Conclave eleggere in poco più di ventiquattr’ore il successore di papa Francesco. Indimenticabili la commozione e la trepidazione con cui Robert Francis Prevost – il primo Pontefice nato negli Stati Uniti d’America e il primo appartenente all’Ordine di Sant’Agostino – si rivolge ai fedeli che affollano piazza San Pietro e, tramite i mass media, ai popoli di tutto il mondo. E indimenticabili le parole pronunciate in quel primo intervento, quasi un discorso programmatico, col neo eletto Pontefice che invita tutti i «discepoli di Cristo» a portare al mondo la luce del Risorto, perché l’umanità possa essere «raggiunta da Dio e dal suo amore. Aiutateci anche voi, poi gli uni gli altri – è la sua richiesta – a costruire ponti, con il dialogo, con l’incontro, unendoci tutti per essere un solo popolo sempre in pace».

In questo primo mese sono accadute molte cose. Celebrazioni, udienze, messaggi, discorsi: l’agenda di Leone XIV si è fatta immediatamente fittissima, in questo 2025 reso ancora più intenso dalle iniziative legate al Giubileo. E in questo mese già si fanno incontro le linee portanti di un magistero che, nella continuità con i predecessori, lascia intravedere sviluppi originali. Come anticipa la scelta del nome, fatta guardando a Leone XIII, il quale, «con la storica enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale. E oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di Dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro», spiegò Prevost al Collegio cardinalizio, lo scorso 10 maggio.

In quella stessa occasione chiamò a rinnovare la piena adesione alla via aperta dal Vaticano II, e additando l’Evangelii gaudium di Francesco ne sottolineò alcune «istanze fondamentali»: «il ritorno al primato di Cristo nell’annuncio; la conversione missionaria di tutta la comunità cristiana; la crescita nella collegialità e nella sinodalità; l’attenzione al sensus fidei, specialmente nelle sue forme più proprie e inclusive, come la pietà popolare; la cura amorevole degli ultimi, degli scartati; il dialogo coraggioso e fiducioso con il mondo contemporaneo nelle sue varie componenti e realtà».

Ma se c’è, fra gli altri, un filo conduttore che percorre e lega, resistente, disarmato e disarmante, questo primo mese di pontificato, è quello della pace. Ed è un filo che tiene assieme parole, gesti, iniziative di questo Pontefice – persona mite e determinata, capace di ascolto e dialogo, forgiata da vent’anni di vita missionaria in Perù e dall’esperienza di priore generale degli Agostiniani, oltre che dal servizio di prefetto del Dicastero per i vescovi. Ed è così fin dal primo Regina Caeli, domenica 11 maggio, con papa Prevost a ricordare gli 80 anni dalla fine della Seconda guerra mondiale, con i suoi 60 milioni di vittime, e a rilanciare l’appello di Paolo VI alle Nazioni Unite: «Mai più la guerra!». Ecco, quindi, l’invito a fare tutto il possibile perché il popolo ucraino possa avere «una pace autentica, giusta e duratura». Ed ecco le parole dedicate a Gaza, e la triplice richiesta: cessare il fuoco, liberare tutti gli ostaggi, prestare soccorso umanitario alla popolazione stremata. Appelli che Leone XIV ha poi rinnovato.

«Se vuoi la pace, prepara istituzioni di pace», dirà il 30 maggio parlando ai movimenti e alle associazioni che hanno dato vita all’“Arena di Pace”. «Ci rendiamo sempre più conto che non si tratta solo di istituzioni politiche, nazionali o internazionali, ma è l’insieme delle istituzioni – educative, economiche, sociali – ad essere chiamato in causa». E tutti possono fare qualcosa per la pace: a partire dagli operatori della comunicazione, ricevuti il 12 maggio e invitati a «dire “no” alla guerra delle parole e delle immagini». Chiaro e forte il messaggio: «Disarmiamo le parole e contribuiremo a disarmare la Terra».

Tanti parlano di pace. E tanti si appropriano di questa parola. Strumentalmente. Fin dall’inizio Leone XIV ha spazzato via ogni equivoco parlando della pace di Cristo, dono di Dio e responsabilità dell’uomo. «La pace di Cristo non è il silenzio tombale dopo il conflitto, non è il risultato della sopraffazione, ma è un dono che guarda alle persone e ne riattiva la vita. Preghiamo per questa pace, che è riconciliazione, perdono, coraggio di voltare pagina e ricominciare», disse papa Prevost mercoledì 14 maggio ricevendo i partecipanti al Giubileo delle Chiese orientali. «Perché questa pace si diffonda, io impiegherò ogni sforzo. La Santa Sede è a disposizione perché i nemici si incontrino e si guardino negli occhi, perché ai popoli sia restituita una speranza e sia ridata la dignità che meritano, la dignità della pace». Ed è per testimoniare e promuovere questa pace che Leone XIV chiama i cristiani a desiderare e costruire «una Chiesa unita, segno di unità e di comunione, che diventi fermento per un mondo riconciliato», come disse domenica 18 maggio, nell’omelia della Messa per l’inizio del ministero petrino.

Parole affidate alla memoria del cuore di ciascuno, perché ciascuno possa diventare operatore di pace. Ma con le parole, nella memoria, mettono radici anche i gesti. Gli incontri. Come quello con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, il primo capo di Stato ricevuto in udienza dal nuovo Papa. O come il recente colloquio telefonico col presidente Vladimir Putin, con la richiesta alla Russia di compiere, finalmente, «un gesto che favorisca la pace». Venerdì 7 giugno Leone XIV ha ricevuto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. La prima visita ufficiale del capo dello Stato italiano ha preso il volto di un incontro fra due “artigiani di pace”, che nel loro dialogo si sono soffermati sulle sfide dello scenario internazionale, in particolare i conflitti in corso in Ucraina e nel Medio Oriente.

Leone Magno, nel 452, incontrò Attila e fermò l’avanzata degli Unni verso Roma. Di fronte agli Attila del nostro tempo, di fronte ai loro disegni di potenza e alle loro azioni di morte, Leone XIV rilancia l’azione missionaria della Chiesa e l’opera diplomatica della Santa Sede, che hanno i loro pilastri – come ha detto il Pontefice al Corpo diplomatico, il 16 maggio – nella pace, nella giustizia e nella verità. Perché sia aperta a tutti la via della «pace disarmata e disarmante». Nella certezza che Dio «ama tutti e il male non prevarrà».


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